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Channel: Commenti a: Il mio Salone 2008 – Il signor “ufficio tecnico” non va per mare
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Di: Giuseppe

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Salve sig. Soccol,

sono da pochi giorni diventato un “ingordo” lettore di questo sito. L’ho scoperto quasi per caso e nelle ultime 72 ore penso di aver letto di un fiato (o quasi…) la quasi totalità degli argomenti trattati. Conosco quasi tutte le “penne” che scrivono gli articoli qui presenti, tramite la carta stampata e le riviste di settore e, per quanto non possa concordare su tutto ciò che viene scritto (sarebbe disumano il contrario…), apprezzo lo stile e la dovizia dei particolari alla base delle teorie sostenute.

Mi sono imbattuto in questo articolo che, per quanto un pò datato, è più che mai attuale.

Mi presento: vivo di progettazione nautica da una decina d’anni e, dopo aver percorso praticamente tutti i gradini di chi – in mezzo al mare – ci è nato, sono oggi un “signor ufficio tecnico”…

Mi sono avvicinato a questo lavoro quando, poco dopo le scuole elementari, sono stato imbarcato su un Optimist in legno: la libertà… quella vera… a 12 anni; tu, che non puoi uscire “in piazza” da solo, sei artefice del tuo destino… lo ricordo ancora: ho pianto! Ma non di tristezza o di paura…. ho pianto per la gioia, l’emozione di avere il mio destino per le mani, nonostante i miei 12 anni…

Non voglio tediare nessuno con l’excursus della mia vita per mare che mi ha portato a studiare ingegneria, e a tentare la scalata verso i grandi nomi: quelli che hanno fatto la storia dello yachting italiano e che ricordo dentro di me a tutt’oggi, nonostante molti non esercitino ormai più.

Qualche giusto anno di gavetta, ed eccomi “scritturato” da chi la nautica la sta scrivendo oggi! Certo è una nautica diversa da quella che avevo sognato… ma ha pur sempre il suo fascino. Insomma, sono un signor “ufficio tecnico” che, oggi, per mare, effettivamente, va poco…

Purtroppo infatti, con gli anni, l’andar per mare è stato relegato sempre più a un periodo brevissimo: per uno che in barca è nato, è dura accettarlo, ma così è…
La mia fortuna è aver avuto la possibilità di specializzarmi su un aspetto particolarmente interessante della progettazione: idrostatica e idrodinamica. Disegno scafi… e la seconda fortuna che ho è quella di aver trovato un’azienda che si fida della ricerca e che non “ricicla” stampi acquistati da fallimenti (come da lei citato in un altro articolo sullo stesso salone). Ovviamente non ho la pretesa di essere Sonny Levi e neanche Ray Hunt, ma spero di aver quantomeno meritato di avere una voce in capitolo in un settore che prima di un lavoro è una passione.

Negli ultimi 20 anni non ho perso un salone nautico anche se purtroppo ho sempre molto poco tempo per fare il turista presso stand “concorrenti”, ma posso comunque concordare con la moltitudine di storpiature che si vedono in giro…

La cantieristica mondiale si dimentica spesso che le barche servono per navigare, ma questo fattore non dipende dall’incuria o ignoranza dell’ufficio tecnico (…per quei pochi cantieri che possono usare questa espressione…): purtroppo il problema è nato quando il comparto è proliferato in una inutile moltitudine di cantieri!
Tutti volevano (giustamente) vivere, ma in pochi avevano idee… e allora giù tutti a copiare tutti… tanto il fascino del brand… quello vero… lo hanno solo 2 o 3 nomi al mondo!

Per il resto se io e lei aprissimo un cantiere oggi, tra 6 mesi potremmo pubblicare un depliant che ci autocelebra “leader mondiali”: questo, purtroppo, è possibile perché è il pubblico ad essere ignorante (è evidente che non voglia usare l’accezione volgare del termine, ma solo indicare il fatto che la patente nautica si prende in 16h meno 2 pause pranzo, e che addirittura l’odioso inciso “io ce l’ho più lungo” ormai sia stato distorto anche in “io ce l’ho più largo più alto e addirittura più pesante e questo significa che… più pesa… più c’è roba dentro… più è giustificato che io paghi….).

Sopravvivere in questo settore è difficile (anche se forse questa è una frase fatta, adattabile a tutti i settori produttivi al mondo) e, giusto per completezza d’informazione, quando oggi mi si chiede di inventare (poche invenzioni… sebbene qualcuna interessante ogni tanto sia possibile… disegnare è spesso più adatto, e ottimizzare è per lo più il verbo giusto) uno scafo, la richiesta viene accompagnata da una specifica nata dal marketing. A titolo di esempio, le indicazioni potrebbero essere <>.

Il dimensionamento dei serbatoi è presto fatto… e la velocità pure, essendo uno degli input di progetto…
Il tutto sta, a quel punto, nell’immedesimarmi nello scafo, pensare di scivolare io nell’acqua, e sentire le onde… immaginare dove e come pulire la scia… e studiare uno scafo che, magari, guadagna mezzo nodo a pari potenza installata… o che abbia una stabilità in rada oltre la media (ma senza esagerare… altrimenti si ottiene l’opposto di quel che si vorrebbe…).

E così si parte: Esponente di carico.. previsione “cg” e assetto… identificazione della tipologia di carena più adatta… linee d’acqua… calcoli per la previsioni di potenza… scelta motorizzazione necessaria… dimensionamento casse e scelta di tipologia e posizionamento sistema propulsivo… studio e ottimizzazione delle appendici e calcoli di stabilità (laddove ci sia qualche intoppo, la spirale continua come sempre, fino a trovare il giusto compromesso)… et voilà: il progetto passa nelle mani di chi inizia a riempirlo di dettagli: strutture, impiantistica e non ultimo il mobilio.

La cosa più triste è che da quando svolgo questo lavoro, ho disegnato 70/80 scafi, ognuno prodotto in decine o centinaia di esemplari: alcuni autentici successi (di quelli che mi fanno scendere le lacrime come quella prima volta in optimist…), e alcuni (pochi per la verità, sebbene è normale ci siano anch’essi) più deludenti; …ma qualcuno si è accorto della differenza?

La verità, signor Soccol, è che la carta patinata parla di “comodità”: cabine armatoriali, cucine Ernesto Meda e aree living con divani Frau! Qualche accenno alla velocità di punta, e il successo d’immagine è assicurato! Spesso cerco sul web notizie, articoli, video, sugli scafi di cui non sono stato soddisfatto… per leggere chi, perché e come, ha notato problemi e come li avrebbe bypassati o migliorati… ma niente: il vuoto! Le barche sono SOLO dei successi!

E’ incredibile che poi i cantieri falliscano, nonostante non sbaglino mai una barca… ha notato?

Allo stesso modo, mai nessun accenno al perché i successi, sono tali! Grandi idee per grandi barche: risparmi energetici, resistenze bassissime, studi di seakeeping che consentono di navigare in mezzo al comfort più totale (per quanto si stia sempre su una barca), e alla fine si legge sempre dell’essenza di wengè che quest’anno è più di moda rispetto al ciliegio (…che poi in quanti avranno mai visto un albero di wengé?!?!?)!

Ricordo ancora quando, tutto emozionato al primo salone nautico da “espositore”, fui incaricato di presentare tecnicamente una barca ad un potenziale cliente <>
Un altro mi disse <> e quando risposi che i due tubi servivano a collegare le eliche al motore ricevetti una risposta quasi infastidita <>.
Tralascio che quest’ultimo cliente, poi, la barca la comprò davvero… probabilmente ancora non aveva avuto 16 ore da dedicare allo “studio” per ottenere la patente…

Per chiudere: leggo con piacere i suoi articoli, così come la quasi totalità di quelli presenti su questo sito, che ritengo racchiuda una buona fetta della poca stampa competente di questo settore. Mi sembrava però doveroso spezzare una lancia in favore di chi… come me… per mare ci va ormai poco per mancanza di tempo… ma soprattutto che spesso raddoppierebbe la capienza dei serbatoi… ridurrebbe le potenze installate… eliminerebbe quasi sempre un ordine di sovrastruttura, stringerebbe gli scafi… rispetterebbe alcune ISO ormai dimenticate… e con la nascita di un nuovo progetto butterebbe sempre più un occhio alla stazza (questa sconosciuta) che più di ogni altra grandezza, serve a capire se – a parità di lunghezza… dimensione ormai concettualmente inutile – una barca sarà davvero una barca o piuttosto un abuso edilizio… ma non mi è possibile!

Le barche nascono per essere vendute all’interno di un mercato saturo, in cui l’estetica (per quanto opinabile) la fa da padrone, così come le dimensioni.

Sono poche le persone al mondo che a tutt’oggi possono decidere COSA produrre e contemporaneamente progettarselo e costruirlo: c’è chi decide, che con il proprio acume commerciale riesce a garantire a migliaia di persone di poter fare il proprio lavoro, chi veicola le informazioni, chi trova i clienti e riceve conferma che vogliano “proprio” una bruttura, chi riesce a rendere appetibile una barca prima ancora che esista e faccia parlare il maggior numero di persone possibili, e poi c’è l’ingegneria seguita a ruota dall’architettura, dal design, dai mobilifici, dai pubblicitari… insomma… un progetto che prima si faceva in 1 o 2, oggi muove decine di persone…

La “nostra” parte è quella di fare in modo che, nel rispetto dei dettami del mercato e delle richieste armatoriali, chi per mare ci va davvero, si senta al sicuro! E anche che dal suo andare per mare possano trarre giovamento anche le persone che restano in spiaggia, evitandogli di temere un terremoto ogni volta che un motoscafo (ops… pardon… yacht!) passa vicino alla costa.

…Parafrasando mi verrebbe da dire che sembra quasi che una cosa non sia brutta, se è anche grossa! (e tutto sommato anche John Holmes non era un adone, però “ce lo ricordiamo ancora tutti”…)

So di essermi dilungato oltre misura, e di questo mi scuso con chi ha avuto la sfortuna di imbattersi nel mio commento, ma l’argomento mi appassiona a tal punto da farmi perdere la cognizione del tempo.


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